domenica 18 febbraio 2018

L' ANAGRAFA

Scusi signore dov'è l'ANAGRAFA?”. “L'anagrafe? Deve scendere alla prossima fermata.” “Grazie.” 

Ero in Italia, e potevo permettermi di ridere sentendo tale storpiatura. Eppure ci si capisce lo stesso, a volte di più di fare discorsi perfetti e complessi. E la persona che aveva chiesto informazioni non era straniera, ma rientrava in quella categoria di anziani che hanno studiato poco e ai quali in fondo non è mai interessato conoscere bene la lingua da non far errori. Per esprimersi e farsi capire ciò infatti non è necessario. Se hai bisogno e devi chiedere qualcosa di semplice, di specifico, di pratico non importa se parli bene, soprattutto se stai chiedendo qualcosa che comprerai o se stai usufruendo di un servizio. Le persone ti capiscono e ti accontentano. Da questo punto di vista non c'è nessun vantaggio a saper parlare senza errori. Si vive lo stesso. Diversamente invece se si dovesse vendere qualcosa o se ciò di cui si ha bisogno sono il riconoscimento e la stima degli altri. In quei casi allora bisogna saper parlare correttamente.

E invece tutte le storpiature, tutti gli errori di mala pronuncia che sento qua in Svizzera sono gli sforzi di tutti quelli che cercano di parlare la tua lingua e quindi non puoi deridere chi ti risparmia le “lacrime” e gli sforzi di parlare una lingua che storpieresti di più.
Ma la cosa peggiore non è parlar male una lingua, se comunque la gente ti capisce. La cosa peggiore è parlare la stessa lingua, correttamente, ma non capirsi, di fatto non comunicando nulla, ma emettendo soltanto suoni perfettamente percepiti, ma non recepiti. Ciò che accedeva quando ero in Italia.

Suoni, belle parole e poi tutto finisce in silenzio, senza nessuna conseguenza. Eppure puoi continuare a vivere in un posto senza farti capire, soltanto perché quello è il tuo posto. Tu sei nato lì e da lì non ti muovi, non ti alzi. Continui a vedere lo spettacolo anche se ormai non ti interessa più e anche se poi non applaudi, in fondo non cambia molto. Il rumore delle tue mani non si sente molto. Sei seduto, quasi nascosto e gli altri stanno applaudendo al posto tuo.

Invece se sei straniero non è così. Non puoi non farti capire. Parli male, già, ma devi farti capire, altrimenti non riusciresti a vivere, non troveresti lavoro e saresti costretto a tornartene da dove sei venuto. Lo straniero non ha un posto a sedere. Lo straniero vede lo spettacolo in piedi. Si espone, si fa vedere. Ogni suo movimento viene osservato. Il suo applauso si vede.


Sentirsi straniero ti obbliga a vivere con gli occhi sempre aperti, attento, sempre in piedi a capire se può liberarsi un posto, anche solo temporaneo, dove poterti riposare. Ma alla fine ti abitui anche a sbattere il culo contro il suolo freddo, a meno che qualcuno, molto gentile, non condivida il suo posto con te, dandoti la sensazione di sentirti accolto, riverito, anche se in fondo non è quello che cerchi, perché vuoi rialzarti subito e continuare a vedere lo spettacolo in piedi, per non perderti la libertà di uscire, indisturbato, dal pubblico, qualora ad un certo punto lo spettacolo ti annoiasse e non ti interessasse più. 

E allora capisci perché non puoi scegliere gli attori dello spettacolo che stai vedendo. Per poterlo fare devi avere il posto riservato, dalla cittadinanza. E invece puoi scegliere gli attori dello spettacolo che i tuoi connazionali vedranno, ma a cui tu non parteciperai, dal vivo, come spettatore. Il tuo posto sarà sempre lì, prenotato, ma rimarrà vuoto e nessuno in fondo se ne accorgerà. Mentre finché rimarrai in piedi, senza posto riservato, non potrai mai decidere quali attori vedrai nel posto in cui vivi. E' questa la condizione dello straniero. 

In ogni caso, però in una società complessa, fatta di apparenze e sempre più virtuale, di fatto il diritto di scelta riguarda soltanto gli attori, ma non lo spettacolo. Lo spettacolo cambia, certamente, al variare degli attori, ma soltanto nella forma, non nella sostanza. La storia è sempre quella. Il finale pure, anche se l'interpretazione di un bravo attore può essere determinante e farti credere l'opposto. Con la democrazia diretta le cose sarebbero certamente differenti, anche se c'è il rischio che attori improvvisati non sappiano di fatto recitare e rovinino lo spettacolo, facendoti credere che tutto sia un disastro. 

Ma di fatto ciò che accade dietro le quinte nessuno può mai veramente saperlo. Non puoi mai sapere quanto incida l'impresa di chi pulisce il posto che occupi, per esempio. Ogni attore conosce soltanto una parte della verità: quella che percepisce. Oltre i limiti della sua competenza professionale, entrano in gioco le sue “credenze” e la sua fiducia verso gli altri.


giovedì 1 febbraio 2018

Approssimazioni

E' pura illusione credere di stare insieme agli altri per colmare la solitudine.

Siamo soli, nessuno può evitare o colmare la solitudine. Si sta con gli altri per costruire qualcosa che da soli non si potrebbe. Si sta con gli altri per trascorrere il tempo piacevolmente o per star meglio, per non sentirsi abbandonati, o isolati, ma è fallace credere di stare con gli altri per evitare di stare da soli. Ci si può avvicinare, approssimare agli altri ma non si potrà mai raggiungere nessuno al punto da sostituirlo completamente.

Si può trovare qualcuno che approssimi bene la nostra solitudine, che possa descriverla con precisione. Ma non si potrà mai trovare nessuno che sia la nostra solitudine, che la raggiunga al punto tale da sostituirla e quindi, di fatto, da annientarla. Nessuno potrà quindi sconfiggere la nostra solitudine.

Nessuno potrà mai avere la nostra testa, tale e quale, nessuno potrà percepire tutto ciò che noi percepiamo, esattamente allo stesso modo. Nessuno potrà mai avere gli stessi identici pensieri, su qualsiasi tema. Nessuno potrà mai vivere esattamente come noi, pur vivendo insieme a noi.

Eppure pochi sono consapevoli di questa verità. Pochi vogliono ammettere e accettare che si è soli e allora ci si ostina a tutti i costi a riconoscerci in schemi, a seguire le mode sperando in un'identificazione collettiva. Oppure ci si aspetta di trovare una persona che non ci faccia sentire soli. Ma tutto ciò conduce soltanto ad evitabili delusioni perché è normale che ci si senta soli stando insieme con una persona, o addirittura convivendoci.

La questione da indagare invece dovrebbe essere il perché ci si sente soli e se questa sensazione potrebbe essere migliorata stando con un'altra persona. Già, perché la sensazione di solitudine può soltanto essere ridotta, alleviata o sorvolata, ma mai risolta. E allora è possibile sentirsi soli con le persone che si amano? E' possibile. Mi sono sempre sentita sola all'interno della mia famiglia. Con mia sorella non sono mai andata d'accordo: divergiamo nel pensiero praticamente su qualsiasi argomento. Io odio il consumismo e lei lo alimenta. Io voglio vivere leggera, lei pesante. Io risparmio, lei spende. Io riciclo, lei ricompra. Non sono mai riuscita a trascorrere insieme a lei, in armonia, un solo giorno. Eppure ci vogliamo bene e ci aiutiamo. Con mia madre la situazione era soltanto migliore, mi faceva ridere e inquietare allo stesso tempo. Con mio padre andavo d'accordo finché non alzavo il volume dello stereo o della voce e finché le mie azioni e i pensieri non varcavano i confini della razionalità.

E adesso in casa la situazione non è troppo diversa. Un tempo, con la persona che amo e con cui vivo, pensavo di essermi identificata. Ma poi ho scoperto l'errore di approssimazione e questo è diventato sempre più grande e adesso che abbiamo la bambina a volte mi sembra di non aver costruito nulla insieme, ma che ognuno si sia limitato soltanto a dare il suo contributo.
Mi fa paura il fatto di vivere sotto lo stesso tetto e non guardare nella stessa direzione, di non avere sogni, ideali in comune se non quello di trainare lo stesso carro. Finché riusciamo a suddividerci i compiti va tutto bene. Adesso non vorrei certo fermare un treno in corsa, anche se devo ammettere a volte temo possa deragliare.


A lui spesso non piace ciò che vorrei fare e viceversa. Forse a volte ci sentiamo quasi schiavi del nostro amore che ci impedisce di prendere la direzione che vorremmo prendere individualmente. Poi però penso a dove andrei senza di lui e forse non andrei lo stesso da nessuna parte e allora resto lì e penso a ciò che non c'è, che non è una possibilità, ma che potrebbe essere un'altra approssimazione della mia solitudine, approssimazione che copre gli errori dell'attuale approssimazione, ma che di fatto ne fa emergere altri ancora più grossi. 

E allora mi astraggo da qualsiasi altra approssimazione e penso a Schwanden. Con Schwanden non si commette nessun errore, nessun buco rimane scoperto perché Schwanden non è nessun altro, ma è la mia solitudine. Ed è per questo che continuo a scrivere, per cercare Schwanden e dargli forma. In fondo è l'unico punto fermo, quando tutto sembra vacillare.