sabato 24 dicembre 2016

Il salto

“Tra la disperazione e la pianificazione, c'è stato di mezzo il RAV.”

“Il RAV? Ti sei iscritta all'ufficio di collocamento?”

“Già. In realtà l'ho fatto solo perché avevo bisogno del colloquio di consulenza su come cercare lavoro qua a Zurigo. In particolare, avevo delle domande circa una possibile ricollocazione, un cambio di carriera … Ma vedo che è già tanto sperare di trovare lavoro nel settore dove ho sempre lavorato, figuriamoci in un altro. Se in Italia ogni cambiamento è scoraggiato dal mercato, dalla mancanza di possibilità e prospettive, qui è scoraggiato principalmente da fattori tuoi personali: la lingua, la nazionalità, l'età e l'elevato costo di formazione. A me non dispiacerebbe lavorare in un nido o fare un lavoro assistenziale. Acquisirei nuove capacità e lavorare con le persone mi darebbe soddisfazione. Ma dovrei per prima cosa conoscere bene il tedesco, pagarmi un corso di formazione, avere 18 anni e competere con i cittadini svizzeri. Praticamente in un'altra vita, Schwanden. Qui, anche al nido, iniziano a lavorare molto giovani. A 15/16 anni hanno già esperienza come baby-sitter. Io alla loro età, quando vedevo un bambino, facevo solo gli scongiuri.

Comunque, ritornando al discorso, mi presentai al RAV per chiedere una consulenza e mi ritrovai iscritta, o meglio assicurata, alla cassa disoccupati. 

Riferii all'impiegato, in inglese, che non ero interessata a nessuna assicurazione. Mi disse che l'iscrizione era obbligatoria per poter accedere al servizio di consulenza. Mi assicurò che non dovevo pagare nulla. Poi mi diede una serie di moduli da compilare, concordammo l'appuntamento con la consulente e la data per il test di conoscenza della lingua tedesca.

Mi disse di recarmi all'incontro con la consulente accompagnata da un traduttore o da una persona di mia fiducia che parlasse italiano e tedesco.

Tornata a casa, cominciai a compilare i moduli da spedire per posta ordinaria. C'era anche la richiesta per il contributo di disoccupazione. Ho letto che ne hanno diritto coloro che hanno lavorato in Svizzera negli ultimi 12 mesi e, successivamente, hanno perso lavoro. L'importo corrisposto è il 70% del salario medio. Però, durante il periodo in cui si percepisce il contributo, bisogna dimostrare di star attivamente cercando lavoro, compilando un foglio con tutti i riferimenti delle candidature presentate. E poi bisogna accettare il primo impiego offerto, altrimenti si perde il diritto al contributo. Mi chiedo come mai l'impiegato mi abbia detto di compilare pure questo foglio, visto che non ho diritto a nessun contributo, non avendo mai lavorato in Svizzera. Tuttavia lo compilai, pensando che per formalità avrei dovuto compilarlo lo stesso, anche se sarebbe stato poi rigettato.

Al colloquio con la consulente, decisi di presentarmi da sola, senza nessun traduttore; non per presunzione, ma per ragionevole contestazione. Infatti mi sembrava assurdo che non fosse possibile parlare in inglese, e se proprio fosse stato così, allora avrebbe voluto dire che il servizio non era adatto a me. Con la consulente doveva crearsi un rapporto di comprensione attraverso incontri periodici. Quindi, aldilà del costo che avrei dovuto sostenere per pagare un traduttore, avrei percepito un intermediario come un terzo incomodo, un fattore di disturbo che, a mio parere, avrebbe reso difficile ogni tentativo di stabilire una “comune azione.”

Preparai il mio curriculum in tedesco e mi preparai anche ad essere insultata, eventualmente. E invece la consulente iniziò subito a parlare in inglese e mi fece i complimenti per essere stata in grado di tradurre il curriculum. Mi suggerì alcune offerte, che però provenivano da società farmaceutiche, soltanto perché io le avevo detto che avevo tentato quella strada. Mi fornì un elenco di siti internet dove trovare annunci e possibili contatti. Certamente non fu lei ad indicarmi la nuova strada e la direzione che adesso seguo, e quindi la mia idea di ricerca, ma almeno mi spronò a “fare i bagagli” e a iniziare il mio cammino.

Poi ci fu il test di tedesco. Tutto sommato, ne fui soddisfatta. A differenza dei compiti in classe, affrontai la prova come un tuffo dal trampolino, dove ti butti, non preoccupandoti di come gli altri ti vedono volteggiare e del punteggio che ti daranno una volta caduto in acqua, ma come un salto, dove il vuoto che senti prova che in quel preciso momento stai vivendo e quando cadrai in acqua ne sentirai la forza, l'impatto.”


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