mercoledì 25 aprile 2012

La crisi: intervista


Che cos’è una crisi secondo la sua visione?

La crisi è il sintomo di un malessere che se trascurato può degenerare in malattia. Può riguardare un singolo soggetto o la collettività a loro volta considerati nella propria dimensione morale (rispettivamente crisi personale e crisi dei valori) o nella propria realtà fisica (es. crisi acetonemiche e crisi dell’apparato sociale). Può riguardare una o più nazioni nel complesso (crisi locale e crisi globale) o nei suoi sottoinsiemi (crisi del sistema politico o crisi economica).   

Come pensa debba essere fronteggiata una crisi?

Così come credo nella superiorità dell’approccio olistico rispetto a quello sintomatologico per combattere una malattia, penso che occorra risalire alla causa che ha generato la crisi, anzichè eliminare il sintomo, la crisi stessa.

Quale pensa sia la causa di una crisi economica?

Fondamentalmente la scarsità delle risorse. La crisi economica è un campanello che ci ricorda che non si può produrre per sempre. Quando suona potrebbe segnalare l’intervallo o la fine delle lezioni scolastiche che, per analogia, diventano la produzione economica.
Se si tratta dell’intervallo, occorre fermarsi. Non ammazzando il tempo, ma rendendolo utile a rigenerarci. La ricreazione dovrebbe consentire innovazione. L’assenza di produzione talvolta è produttiva, anche se non se ne vedono immediatamente i benefici.
Se invece la campana segna la fine delle lezioni allora vuol dire che abbiamo già prodotto tutto quello che potevamo produrre e l’unico modo per aumentare il benessere collettivo è la ridistribuzione. Se ormai si ha già tutto e ciò che si ha non serve a generare nuova ricchezza, allora non resta che dividerla equamente. In tal modo nessuno si sentirà svantaggiato o impotente. Anzi, saremmo più colti: oltre ad essere eccellenti in economia eccelleremmo anche in solidarietà.
La società migliorerebbe e forse potrebbe di nuovo crescere. Ad un ciclo scolastico ne segue un altro se gli studenti dimostrano impegno e capacità.

Cosa pensa della situazione in Italia? Siamo all’intervallo o alla fine?

Direi all’intervallo. Credo in una ripresa e in una rigenerazione. Penso che le competenze al governo ci siano. Quello che invece manca sono degli esempi.
L’Italia è risaputo essere un paese di furbi. Ma ci siamo mai chiesti come mai? Io penso perchè ci sentiamo vittime, impotenti e inferiori rispetto alle classi dirigenti o ai politici. E quindi non appena possiamo prenderci una rivincita lo facciamo, senza per questo violare la legge. Scusate se parlo alla prima persona plurale, ma penso che, aldilà delle ipocrisie, chiunque abbia avuto modo di approfittare di una situazione vantaggiosa quando ne ha avuto occasione. Si pensi alle volte in cui usiamo il telefono aziendale per far le chiamate private, a tutte le volte che si finge di lavorare di più rimanendo più ore in ufficio, ma di fatto diluendo il brodo per poi vantare il pagamento delle ore di straordinario ... Questi sono soltanto alcuni esempi che ci fanno illudere di poterci riappropriare di ciò che lo Stato o la ditta ci tolgono.   
Da questi comportamenti emerge uno scontento. Forse non siamo contenti delle gerarchie, dei privilegi di cui noi ci sentiamo esclusi.
Ma immaginiamo di avere dei leader che anzichè parlare in tono distaccato ci spieghino il motivo per cui occorre fare dei sacrifici e pagare più tasse con il loro esempio di rinuncia a qualsiasi privilegio e con un taglio ai loro stipendi.
Ci sentiremmo ancora derubati o mal gestiti? Non pensate che saremmo più motivati a pagare le tasse?
Molte aziende negli ultimi anni hanno cambiato il loro assetto organizzativo: non più “piramidale”, ma “familiare”, in maniera tale da favorire la cooperazione e il lavoro “di squadra” per incentivare i lavoratori stessi.
Quindi penso che per poter uscire dalla crisi sia necessaria un’innovazione in tal senso, iniziando dal settore pubblico che andrebbe riqualificato. 
La gente ride sarcastica sentendo “lo Stato siamo noi”. Nessuno si riconosce all’interno del settore pubblico. Nessuno è contento dei servizi offerti che vengono snobbati a favore di quelli offerti dal settore privato.

Quale pensa che sia il fattore decisivo alla ripresa?

Presupposto per la guarigione di una malattia è il rapporto di fiducia tra paziente e medico. In maniera analoga, la ripresa dalla crisi richiede fiducia nello Stato.

Come vede il futuro a livello globale?

La transizione tra la fase “USA e riUSA” e “USA e getta” ci fa riflettere sull’insostenibilità del consumismo che danneggia chi lo genera. Credo sia inevitabile che prima o poi l’imperativo “USA” verrà definitivamente sostituito da “RICICLA” o “REGALA”. Quando ormai si è prodotto tutto quello che si poteva produrre, ciò che fa veramente la differenza è il modo in cui viene USATO.


mercoledì 18 aprile 2012

L'hikikomori scientifico


Ed ecco che mi trovo di nuovo nella mia isola, ad inseguire il mio sogno rivoluzionario. Mettere insieme arte e scienza, l’espressione artistica con la razionalità logica. Un unione superiore alla somma delle parti. E se non posso farlo dietro compenso allora lo faccio spontaneamente, purchè soddisfi un’utilità collettiva.
Contatto alcuni medici per un progetto di ricerca che mi affascina, che mi consenta di realizzare la mia ambizione. Non ci sono i soldi, ma c’è la mia buona volontà, anche se devo immortalarla tra le mura domestiche. Come un hikikomori, mi chiudo in casa per giornate, senza accorgermene, immersa nel mio lavoro. Soltanto quando esco per far la spesa, avverto il pericolo di cadere di nuovo nella trappola dell’isola che ha causato in passato i miei problemi di salute. “Attenta che cadi, attenta che cadi ...”.
No, questa volta non cadrò. Ho scoperto qual è il segreto: comunicare, con gli amici, le persone care... Ridere, scherzare, muovermi, relazionarmi sono attività che mi fanno sentire viva e quindi mi fanno stare bene.
Purtroppo più spesso mi trovo costretta a comunicare on-line che outside. Ma i vantaggi ci sono comunque. Il messaggio viene recepito, anche se la tecnologia riduce le distanze temporali e spaziali, ma aumenta quelle umane. 
E’ per questo che vorrei fare un lavoro che non mi costringa a rimanere incollata alla sedia davanti al pc. Ma se non possono pagarmi per mettere in pratica le competenze che ho, figuriamoci se sono disposti a pagarmi per farmene acquisire nuove. E allora, di nuovo, se non ci sono i soldi ci pensa la volontarietà.
Oltre al progetto di ricerca volontario in cui sono coinvolta, che dovrebbe quasi essere giunto al termine, lavoro a titolo gratuito, per un’associazione, come insegnante doposcuola per i bambini delle scuole elementari e medie.
Forse potrei dare ripetizioni agli studenti universitari guadagnando qualcosa. Ma non sarebbe la stessa cosa in termini di soddisfazione e crescita personale. Infatti sto acquisendo nuove competenze (e forse anche un po’ di pazienza), ho un ruolo sociale (anche se non pagato), aiuto le persone deboli, i bambini.
Educare, o in generale, aiutare è una sfida. Occorre comprendere e condividere le difficoltà dell’altro senza farsene travolgere. Curare senza essere contagiati dal paziente.
Certo, sarebbe anche giusto ricevere un compenso per poter garantire continuità alla propria prestazione. Solo chi ha un esubero di risorse può fare beneficenza.
E seppur si parli di risorse umane, occorre essere consapevoli che l’umanità può nascere in un contesto dove il primo pensiero della collettività non sia la lotta alla sopravvivenza.
La crisi economica in Italia sta minacciando di distruggere la mia ragione di rimpatrio: l’umanità.
A Londra tutti mi sembravano freddi, distaccati. Ognuno pensava a coltivare il proprio giardino, pur senza arrecare danno a quello dell’altro. Per quanto ci fosse, e ci sia, più ricchezza, tecnologica ed economica, reputavo ci fosse più povertà in termini umani. Percepivo una sorta di lotta alla sopravvivenza delle loro abitudini e delle loro classi sociali.
Ora in Italia, aldilà delle continue lamentele, percepisco la crisi e temo che questa possa distruggere l’umanità, riducendo le persone a lottare per la sopravvivenza vitale.
Finchè posso sono ben disposta a far beneficenza, ma secondo i miei calcoli “attuariali”, che tengono conto dell’aspetto economico, delle prospettive di vita e del rischio aggravato dalla mia particolare situazione familiare disagiata, non posso permettermi di dedicarmi ancora esclusivamente al volontariato per i prossimi sei mesi.